Schiavismo = Accoglienza? gli immigrati sfruttati e i reietti neutralizzati?
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L’inversione orweliana dei significati è ormai in piena attuazione: l‘immigrato diventa “migrante“- Sembra che si tratti di un “appassionato del viaggio“, più che di un disperato in fuga definitiva, come meglio esprimono le parole: “migrato” o “immigrato” o “emigrato“.
Ormai, il paradosso sta prendendo il sopravvento e ci si trova immersi nell’inversione ocolingo-orweliana – tanto che spesso non si sa se piangere o ridere – ad esempio, siamo ridotti a questo:
1) trafficanti di schiavi = realizzano sogni
2) schiavisti = praticano accoglienza
Sì, perché molti dicono che mandare dei disperati a “spezzarsi la schiena” sui campi di lavoro agricolo, o nei cantieri edili, o a fare qualsiasi lavoro di manovalanza per due soldi, è accoglienza. Secondo me, è schiavismo.
Voglio dire: si tratta di lavori faticosi, usuranti, quanto preziosi, e dovrebbero essere adeguatamente retribuiti, di più del lavoro di un impiegato comodamente seduto, magari pure burocrate – quindi un danno sociale. Invece, accade che, spesso, la paga non sia sufficiente neanche per la sussistenza.
Una volta, il lavoro di manovalanza lo facevano, e potevano farlo, gli italiani (diciamo meglio: gli autoctoni, i nativi), perché, malgrado fosse di poca soddisfazione, le retribuzioni erano più alte di oggi – anche se mai adeguate – ma almeno consentivano di vivere dignitosamente.
Negli ultimi decenni, è accaduto che solo un disperato, senza un soldo, ha potuto e dovuto accettare le retribuzioni e le condizioni di lavoro di mercato, sempre più prossime a quelle del “terzo mondo“. I nativi sono stati anche denigrati per non aver ceduto a queste vergognose condizioni (ricordate l’epiteto “bamboccioni“? di… come si chiama? quel tale economista… ah sì, ora ricordo, Padoa Schioppa).
Questa operazione di sfruttamento criminoso non si può chiamare “accoglienza“, è più appropriato chiamarla “tratta degli schiavi“.
Qualcuno ha causato, così, volutamente gravi danni agli individui e a tutto il genere umano. E i danni causati dallo schiavismo non sono solo morali, inerenti le umiliazioni, e non riguardano solo il singolo individuo vittima – che pure vede la sua dignità calpestata impunemente e gli abusi tutelati per legge – ma riguardano l’intera collettività, che viene ridotta in massa alla povertà.
Indirettamente, anche molti degli inetti carnefici di seconda mano riceveranno indietro, meritevolmente, povertà. Questo sarebbe interessante, se non servisse però ad alimentare la spirale di distruzione. Spero che almeno ne comprendano presto l’insegnamento.
Infatti, le conseguenze della tratta degli schiavi (oggi chiamata “accoglienza“), a livello di mercato del lavoro, sono state disastrose. Era ovvio attendersi che, per la legge della domanda e dell’offerta di lavoro, immettendo nel mercato grandi quantità di schiavi-lavoratori, si sarebbe fatto crollare il potere contrattuale di chi ha bisogno di lavorare (i disoccupati). Senza regole, e cancellando quelle che c’erano, i salari sarebbero calati senza dignità e le condizioni di lavoro peggiorate (non ci voleva un genio per prevederlo!). Era anche prevedibile che la condizione di benessere accettabile, (non perfetta, ma, per dire, migliore di quella di fine ‘800), mediamente diffusa, sarebbe svanita. E’ proprio quello che è successo negli ultimi trenta anni. Così le resistenze interne dei nativi sono state tutte vanificate, tramite “l’accoglienza” (schiavismo). Così, corruzione, clientelismo, sfruttamento e criminalità non hanno avuto più alcun freno. Con la tratta degli schiavi si è causato peggioramento delle condizioni di lavoro, si è importata povertà, e, quel che è peggio, con i flussi migratori di schiavi si sono determinati peggioramenti anche delle condizioni nei paesi di origine degli immigrati/schiavi. Si è avviata, così, tramite l’accoglienza” (sfruttamento, schiavismo) una spirale di povertà e distruzione.
Quello che si dovrebbe fare per invertire la spirale distruttiva è, invece che “accogliere schiavitù”, interrompere la tratta degli schiavi e operare a livello di accordi internazionali per il miglioramento delle condizioni di lavoro in tutto il mondo. In modo tale che non esistano più nazioni in cui le paghe siano di “1 euro”, o giù di lì, al giorno.
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